San Giovanni della Croce - Censura e parere

 

Censura e parere che san Giovanni della Croce diede sullo spirito e sul comportamento nella preghiera di una carmelitana scalza. Segovia, 1588-1591.

 

 

Il comportamento affettivo di quest’anima sembra avere cinque difetti, così da non poterla ritenere animata da autentico spirito. Il primo è che sembra avere molta voglia di possedere, mentre il vero spirito comporta sempre un grande spogliamento nei desideri sregolati. Il secondo è che dimostra troppa sicurezza e poco timore di sbagliare interiormente, mentre lo spirito di Dio non ne è mai privo, al fine di custodire l’anima dal male, come dice il Saggio. Il terzo è che sembra voler convincere gli altri che ciò che ha è buono, anzi molto buono. Il vero spirito non agisce così, ma, al contrario, desidera essere stimato poco e disprezzato. Del resto tale spirito si comporta in questo modo. Il quarto difetto, quello principale, consiste in questo: nel suo comportamento non figurano gli effetti dell’umiltà. Questi, infatti, non appaiono nell’anima – quando le grazie sono, come essa pensa, vere – senza che venga prima lavorata e annientata attraverso un interiore abbattimento di umiltà. Se la sua anima presentasse questi effetti, lei non esiterebbe a manifestarli nel suo scritto, perché la prima cosa che l’anima vuole descrivere e valutare sono gli effetti dell’umiltà, che a motivo della loro evidenza non può certo dissimulare. Sebbene non tutte le ispirazioni che vengono da Dio siano degne di rilievo, tuttavia queste, che essa chiama unione, non mancano mai di tali effetti: Quoniam antequam exaltetur anima humiliatur: Prima di essere esaltato, il cuore dell’uomo è umiliato (Pro 18,12 Volg.), e: Bonum mihi quia humiliasti me: Bene per me se sono stato umiliato (Sal 118 [119],71). Il quinto difetto è che il suo stile e il suo linguaggio non sembrano quelli dello spirito che vorrebbe esprimere, poiché tale spirito insegna uno stile più semplice, senza affettazione e ridondanze, quali si notano nel suo linguaggio. Quando poi dice che «lei l’ha detto a Dio e Dio a lei», sembra una sciocchezza. In breve, io suggerirei che non le comandino e non le lascino scrivere cose del genere, né il confessore accondiscenda di ascoltarla volentieri, se non per disprezzarla e moderarla; la provino nell’esercizio delle nude virtù, soprattutto nel disprezzo, nell’umiltà e nell’obbedienza. Al tocco di questa corda si rivelerà la dolcezza che tante grazie hanno generato in quell’anima; le prove devono essere serie, perché non c’è demonio che non sopporti qualcosa per salvare il suo onore.




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